Alla ricerca dell'unità territoriale: la III guerra d'indipendenza
Proclamato il Regno d’Italia nel 1861, rimanevano esclusi dai confini nazionali città e territori che, nelle mire dei patrioti, non potevano che essere considerati, a tutti gli ffetti, italiani; tra questi, Venezia e il Veneto.
L’occasione per il loro ricongiungimento fu procurata, quasi inaspettatamente, dal Regno di Prussia guidato dal cancelliere Otto von Bismarck.
L’area tedesca, come per secoli era avvenuto per la penisola italiana, era divisa in un gran numero di Stati sovrani. In questa regione, storicamente assoggettata o guidata dall’Austria asburgica, sin dal Settecento era andata crescendo la potenza del Regno
di Prussia, di cui, dal 1862, Bismarck era diventato cancelliere. In un celebre discorso al Parlamento di Berlino, questi aveva assunto l’impegno di unificare l’area tedesca in un unico Stato, da realizzare “col ferro e col sangue”. L’intento era chiaro: l’Austria doveva essere sconfitta sul piano militare.
Maturò così l’ipotesi di uno scontro in cui mostrare l’efficienza qualitativa raggiunta dall’esercito prussiano, e in cui dar mostra della sua arma più micidiale, il Blitzkrieg, la guerra lampo.
Lo Stato maggiore prussiano elaborò una strategia per attaccare il nemico contemporaneamente da nord e da sud e il neonato Regno d’Italia venne indotto a stringere un’alleanza offensiva antiaustriaca. Previo consenso di Napoleone III, il governo guidato dal generale Alfonso La Marmora, nell’aprile del 1866, accettò la richiesta prussiana.
Ora occorreva preparare la guerra, approntare i piani tattici e stabilire la catena di comando. Quest’ultimo fu, nella fase di pianificazione della campagna, l’aspetto più controverso: il generale La Marmora diventava capo di Stato Maggiore, ma il suo rivale, Enrico Cialdini, reclamava piena libertà d’azione; lo stesso sovrano, Vittorio Emanuele II, pretendeva poi di affermare la propria autorità di capo delle Forze Armate. Il comando della flotta da guerra, invece, era affidato all’ammiraglio Carlo Persano.
In giugno lo scontro divenne realtà e, nonostante l’Austria, per evitare di combattere su due fronti, avesse offerto all’Italia la concessione del Veneto in cambio della neutralità, il governo optò per la fedeltà al patto militare stipulato con la Prussia. Era la Terza guerra d’indipendenza italiana.
Le armate italiane, risultato della fusione – parziale – degli eserciti dell’ex Regno di Sardegna e di quelle delle Due Sicilie, furono impegnate, in quel 1866, sui fronti terrestre e marittimo. I risultati nel corso di quella campagna misero puntualmente in luce tanto le ambiguità legate alla contesa catena di comando quanto, più in generale, le difficoltà del processo di unificazione che, dopo il 1861, aveva proceduto troppo a rilento, sia sul piano politico sia su quello militare.
L’esercito italiano, al comando di La Marmora, venne sconfitto a Custoza. Anche la flotta, al largo di Lissa, nell’Adriatico, fu sopraffatta dalle navi austriache. Non si trattò di sconfitte determinanti sul piano militare, ma furono colte con grande apprensione da tutta l’opinione pubblica. Soltanto Garibaldi, tornato alla guida dei Cacciatori delle Alpi, volontari che combattevano al fianco dell’esercito regolare, riuscì a ottenere alcune vittorie (battaglia di Bezzecca).
Intanto, nella battaglia di Sadowa, l’esercito prussiano aveva sbaragliato quello austriaco, inducendo il governo imperiale a chiedere la pace. L’Austria, in cui esplodevano i conflitti di nazionalità, diventava Austria-Ungheria. La Prussia assumeva la guida del processo di unificazione tedesca. All’Italia veniva assegnato il Veneto, ma solo grazie alla mediazione di Napoleone III, dal momento che l’Impero asburgico rifiutava di considerarsi sconfitto dagli italiani.